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Messaggio in occasione della festa di San Vito

Cari regalbutesi,
è la sera del primo giorno della nostra festa, la festa di Regalbuto, e il mio primo pensiero è quello di salutarvi con affetto: da padre parroco, da fratello, da cittadino di questa Città, con voi e come voi. Benvenuti in questa piazza!
Vi parlo da padre parroco, ma sento profondamente di essere sulla vostra stessa barca, toccato dai tanti dolori della nostra terra, in cerca con voi di speranza e di verità. Da questo punto di vista la festa del Santo Patrono deve rappresentare per noi un momento di gioia, di condivisione, ma non di evasione e di estraneazione dalla realtà. Non è tempo di dormire, ma di stare svegli! È tempo di guardare con gli occhi ben aperti a quelli che Papa Giovanni XXIII chiamava “i segni dei tempi”. Che cosa sono i segni dei tempi? Sono gli eventi della storia concreta delle donne e degli uomini d’oggi che ci parlano, ci chiamano ad un cambiamento, interpellano la Parola di Dio che delle nostre esistenze custodisce il senso e la speranza. Vorrei stasera comunicare a tutti voi l’appello che riguarda noi, credenti della Chiesa regalbutese, e – perché no? – tutti voi, convenuti qui, uomini e donne di buona volontà, stranieri che cercate un futuro sicuro e di pace, uniti in una ideale assemblea della nostra Città, nell’affetto antico e sempre nuovo per Vito.
Nella rappresentazione iconografica San Vito è raffigurato sempre con i cani ai suoi piedi, che lo guardano come quando attendono gli ordini che il padrone sta per impartire. San Vito non è il protettore dei cani ma dai cani. Conosciamo bene l’evento miracoloso che si è consumato nelle nostre campagne. Vito, insieme ad un gruppo di compagni, nel suo transito all’interno della Sicilia, con molta probabilità, sostava nel raccoglimento della preghiera in contrada grotte. La sua presenza non passò inosservata dalla gente del luogo. Infatti, venne interpellato da una famiglia di contadini disperati perché un loro piccolo era stato sbranato dai cani. Vito mosso da pietà si recò nel luogo della disgrazia e, dopo aver pregato, ridonò la vita al piccolo malcapitato e ammansò i cani. Il luogo del miracolo è lo stesso dove ora sorge la chiesa di san Francesco, detta dei Cappuccini. E per questo fu scritta questa preghiera in siciliano:
Santu Vitu Santu Vitu, iu tri voti vi lu dicu, vi lu dicu pi su lobbiruca mi voli muzzicariattaccatici lu mussucu nu muccaturi russuattaccatici lu sciancucu nu muccaturi iancu.
San Vito era assai venerato nel Medioevo e fu inserito nel gruppo dei santi ausiliatori, santi verso i quali veniva invocata una intercessione in particolari e gravi circostanze e per ottenere guarigione da specifiche malattie. Per secoli la figura di san Vito ha alimentato ed esaltato la fede popolare: si pensi per esempio alla protezione per la quale veniva invocato, nella speranza di ottenere guarigione, da patologie quali la Corea di Sydenham, una forma di encefalite nota come Ballo di San Vito (in quanto può presentare postumi come tic, tremori, etc.), dall'idrofobia, da malattie degli occhi (in slavo la parola Vid = vista fu associata al suo nome), dalla letargia. Nel 1447 venne istituita la festa dei santi ausiliatori da papa Nicolò V nei primi mesi del suo pontificato (1447-1455), fissata per l’8 agosto. Con la riforma di Paolo VI questa festa fu abolita.
Oggi, dopo secoli, ci ritroviamo ancora a Regalbuto l’8 agosto a fare festa al nostro santo patrono ausiliatore a cui chiediamo un particolare aiuto per affrontare non solo le malattie fisiche (rispetto al Medioevo la medica ha fatto grandi progressi e tante malattie sono state sconfitte o sono diventate curabili), ma anche i gravi problemi che attanagliano la nostra Città e la nostra Sicilia.

Rivolgiamo questa sera il nostro sguardo a Vito, egli per noi è un riferimento sicuro, non solo perché siciliano come tutti noi, non solo perché è il patrono di 115 comuni italiani e diverse località in Europa e nel mondo, ma perché, con la sua vita e il suo esempio non cessa di indicarci la Roccia su cui dobbiamo fondare la nostra vita, la Roccia della nostra salvezza, Cristo Signore.

Penso, questa sera, in modo particolare alla nostra Città che vive momenti difficili, che destano nel cuore di tanti paura e angoscia. Non è della paura che dobbiamo avere paura. È vero siamo impauriti qui, in questa nostra cittadina sempre bella, anche se segnata dal tempo e dall’incuria, impauriti perché il lavoro manca, drammaticamente e, a volte, tragicamente; perché i nostri giovani e meno giovani perdono la speranza e si sentono costretti a partire, privandoci della loro presenza, della loro giovinezza forte e creativa, perché aumenta il disagio e crescono le povertà. Regalbuto, nel 1920 contava 14.880 abitanti, a metà degli anni 40, è sceso a poco meno di 12.000 abitanti. Nell’ultimo censimento, 2011, a eravamo 7140. Oggi??  I siciliani che negli ultimi 18 anni hanno lasciato l’isola ammontano a un milione e ottocentomila. 10.000 sono i giovani che hanno lasciato l’Isola nel 2017.
Sembra che tutta questa sofferenza, questo dolore passi inosservato sotto lo sguardo di chi dovrebbe risolvere le ormai annose difficoltà in cui si dibatte la nostra terra di Sicilia. Non possiamo fare altro che constatare il fallimento di una certa politica nazionale e regionale, l’atteggiamento di rassegnazione che contraddistingue, purtroppo larghi strati della popolazione isolana. E non ultimo un sistema di tassazione e di burocrazia che soffoca già in partenza ogni tentativo di rinascita. Finora la Sicilia è stata ridotta ad un bacino di consumi e di voti, senza alta velocità. Senza servizi ferroviari adeguati, con una rete viaria interna da quarto mondo. Con un sistema sanitario ricco di straordinarie professionalità ma soffocato da lentezze burocratiche, clientelismi politici e corruzione. La Sicilia non è mai stata valutata nelle sue potenzialità che al contrario sono state represse. Lo Stato ha abbandonato il Sud.
La politica deve superare una mentalità dove tutti cercano il potere e la difesa degli interessi personali o di gruppi e non lavorano per il bene comune.

Ora sta cambiando qualcosa?

Cari amici guardiamo in faccia la realtà: non è il tempo della paura e della rassegnazione, non è il tempo della rabbia o dell’evasione. È il tempo dell’assunzione di responsabilità, è il tempo in cui bisogna colmare i danni causati da tutta una serie di atteggiamenti e scelte con una nuova visione della società e nuove progettazioni, superando vecchi schemi e abitudini. La nostra terra avrà un futuro se avremo la pazienza, il coraggio, la forza di costruirlo assieme. Se non faremo questo finiremo per dare ragione al forte timore che è diventato un forte grido lanciato, a suo tempo, da Leonardo Sciascia, che la Sicilia sia “irredimibile”.
Io non sono un politico, non sono un economista sono un pastore, pastore di anime si dice, ma anime che non sono separate del corpo, anime che temono per il loro futuro e per il futuro dei loro figli. Un pastore che vede dove le proprie pecorelle sono dirette. Che ne percepisce lo sconforto e la sofferenza, ma che sente anche il desiderio di riscatto che vorrebbe emergere forte a beneficio di tutti.
Sono profondamente convinto che un forte cambiamento potrà venire solo dal basso. Dobbiamo prendere coscienza che bisogna superare la pesante mentalità individualista di noi siciliani. O questa Sicilia la salviamo tutti insieme o non si salva. E questo vale anche per Regalbuto. Siamo come una grande famiglia.
Bisogna passare dalla mentalità assistenzialista e della ricerca del posto del lavoro e delle sole sovvenzioni, alla mentalità della creazione del lavoro cominciando dalla conoscenza delle risorse del nostro territorio.
Agricoltura e zootecnia…
Artigianato e medie-piccole industrie…
Recupero del patrimonio architettonico e sviluppare il turismo...
Bisogna tornare ad amare la nostra terra…
Passare da una mentalità individualista ad una mentalità cooperativista, da una economia fondata sullo stipendio e sulla sovvenzione ad una economia fondata sul guadagno da produzione e ad una economia di comunione. Bisogna imparare da chi è più bravo di noi, con umiltà e pazienza. Bisogna diventare competitivi all’interno del mercato internazionale.

Cari regalbutesi, alziamoci in piedi! Non restiamo curvi, perché la nostra terra avrà un futuro se avremo la pazienza, il coraggio, la forza di costruirlo assieme, oltrepassando le secche dell’individualismo e della sfiducia.
Ci sostenga il nostro santo patrono Vito, ausiliatore.

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